Licenziamento disciplinare: tempestività della contestazione alla luce della conoscenza dei fatti

Irrilevante, secondo i giudici, la conclusione delle indagini penali se queste non sono state comunicate alla parte datoriale

Licenziamento disciplinare: tempestività della contestazione alla luce della conoscenza dei fatti

In materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della contestazione va valutata dal momento in cui il datore di lavoro ha effettiva conoscenza dei fatti addebitati al dipendente, non rilevando la conclusione delle indagini penali se queste non sono state comunicate alla parte datoriale. Per quanto concerne poi la valutazione dei fatti addebitati al dipendente, l’elencazione delle condotte punibili con sanzione espulsiva, contenuta nel contratto collettivo, ha natura meramente esemplificativa e non tassativa, non essendo vincolante per il giudice, il quale deve condurre il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta alla luce della nozione legale di giusta causa, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della peculiare fattispecie. Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 29139 del 12 novembre 2024 della Cassazione), i quali hanno perciò reso definitivo il licenziamento di un lavoratore, dipendente di una società di servizi controllata da un Comune, messo nei guai dalla falsa attestazione della propria presenza in servizio, falsa attestazione effettuata mediante il ‘cartellino marcatempo’ come accertata da ufficiali di polizia giudiziaria, con successivo procedimento penale per truffa. Analizzando i dettagli della vicenda, i giudici annotano che l’esito delle indagini era stato comunicato soltanto al pubblico ministero, mentre la società ne aveva avuto notizia soltanto con la formale comunicazione di chiusura delle indagini preliminari, ricevuta ai primi di marzo del 2019, mentre, osservano, non vi sono elementi a sostegno di una precedente conoscenza ad agosto 2017. Per quanto concerne, poi, l’elencazione delle condotte punibili con sanzione espulsiva nel contratto collettivo, come tale non ostativa ad una riconduzione della condotta accertata in concreto come disciplinarmente rilevante nell’ambito della nozione legale di giusta causa, nessuna rilevanza può avere, precisano i giudici, l’intervenuta sentenza penale. Ciò perché pure il giudice penale ha ritenuto sussistente il reato di truffa contestato al lavoratore, sia pure nella forma tentata, e ne ha escluso la punibilità soltanto per la particolare tenuità del fatto, mentre ha comunque pronunziato, ai fini civili, la condanna del lavoratore al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, ossia della società. Peraltro, l’accertamento in fatto compiuto nel contesto del contenzioso di lavoro ha la sua autonomia rispetto alle valutazioni del giudice penale, anche perché si tratta di un accertamento inerente al rapporto di lavoro, mentre il giudice penale ha compiuto le sue valutazioni nell’ottica esclusivamente della sussistenza (affermata) e della punibilità (esclusa) del fatto oggetto del capo di imputazione, cioè del reato di truffa.

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